La malattia di Freiberg : una possibile causa di metatarsalgia

La malattia di Freiberg è un osteocondrosi che colpisce prevalentemente la testa del secondo metatarso . Essa è causa di metatarsalgie spesso con esordio in età giovanile . Tipico è l'aspetto radiografico con appiattimento della testa del secondo metatarso. Il trattamento,a seconda dei casi , può essere conservativo o chirurgico .

INTRODUZIONE

Lo spunto per questo” MINFORMA “ deriva da una recente visita ambulatoriale. Più precisamente si trattava di un paziente di 24 anni che da circa 1 anno lamentava un dolore localizzato sulla pianta del piede in corrispondenza del secondo dito. Il dolore peggiorava alla palpazione diretta dell’seconda articolazione metatarso falangea. All’ anamnesi non risultavano traumi recenti ne passati. La radiografia del piede mostrava un appiattimento della testa del secondo metatarso. Relazionando tale riscontro radiologico con il quadro clinico ed anamnestico è stata posta la diagnosi di “ Malattia di Freiberg“. Si tratta di una malattia rara e poco conosciuta a cui però bisogna pensare qualora un soggetto giovane riferisca un dolore plantare anteriore (metatarsalgia).

DEFINIZIONE

La malattia di “ Freiberg “ denominata anche “ seconda malattia di Kholer “ dal nome degli Autori che per primi l’hanno decritta, consiste in una osteocondrosi della testa del secondo metatarso. Ricordiamo che il termine  osteocondrosi identifica un gruppo di patologie che riguardano l'osso (“osteo”) e la cartilagine (“condro”) che vanno incontro a fenomeni necrotico degenerativi (“osi”). Si tratta di condizioni patologiche idiopatiche, per le quali cioè non è stata ancora identificata una causa certa. Sono tipiche dell'età evolutiva e sempre autolimitanti nel senso che guariscono da sole una volta terminato l’accrescimento del segmento scheletrico coinvolto. Tuttavia, se non vengono identificate e trattate precocemente possono causare esiti più o meno invalidanti derivanti dall’ alterata ossificazione della cartilagine di accrescimento la quale può modificare la morfologia dell’ osso. Nella malattia di Freiberg l’esito si configura in un tipico appiattimento della testa del secondo metatarso che, alterando la modalità di appoggio dell’ avampiede, conduce ad una metatarsalgia cioè alla comparsa di un dolore anteriore sulla pianta del piede tipicamente localizzato in corrispondenza della seconda articolazione metatarso-falangea. Più raramente possono essere interessati la testa del terzo e/o del quarto metatarso.

 

EZIOPATOGENESI e EPIDEMIOLOGIA

La malattia di Freiberg è una condizione rara e solitamente è interessa un solo piede. Lesioni bilaterali si verificano in meno del 10% dei pazienti. La malattia colpisce più frequentemente le femmine tra i 12 e i 18 anni (rapporto maschi femmine 3: 1) e si osserva soprattutto tra coloro che hanno un primo osso metatarso breve, o un secondo osso metatarso lungo. In questi casi, infatti, aumentano gli stress meccanici sulla testa del secondo metatarso il quale tende a collassare. Le attività che sollecitano ripetutamente questa articolazione, come la danza, jogging, o la corsa, possono accelerare questo processo.

Come per tutte le osteocondrosi, l’ esatta causa cioè l'eziologia non è nota. E’ probabile che intervengano fattori costituzionali, microfratture ripetute, alterazioni vascolari, alterazioni della cinematica di avampiede che determinano una pressione eccessiva sulla testa metatarsale.

SINTOMATOLOGIA e DIAGNOSI

Inizialmente i pazienti possono essere completamente asintomatici ma il più delle volte con il passare degli anni compaiono dolori sordi che si accentuano durante la marcia e la stazione eretta e alla palpazione della testa metatarsale, in genere la seconda .

Negli stadi iniziali tipico è il riscontro radiografico di sottili fessure o microfratture sulla testa del secondo metatarso generalmente sul versante dorsale. Successivamente si assiste al progressivo riassorbimento dell’ osso necrotico con progressivo collasso della superficie articolare. Ne consegue che la testa del metatarso appare appiattita con una concomitante formazione di osteofiti marginali (escrescenze ossee che si formano a livello delle articolazioni soggette a processi degenerativi cronici). Talvolta si possono anche osservare dei “ corpi mobili “, cioè delle piccole “ scheggie “ d’osso in prossimità dell’ articolazione.

CLASSIFICAZIONE

La classificazione più seguita e quella di Smillie che prevede 5 fasi successive.

  • Fase 1: Frattura subcondrale visibile solo sulla risonanza magnetica       
  • Fase 2: Iniziale crollo dorsale della testa metacarpale visibile solo con particolari proiezioni radiografiche
  • Fase 3: Crollo della testa metacarpale, con porzione articolare plantare intatta
  • Fase 4: Crollo dell'intera testa metacarpale con restringimento dello spazio articolare    
  • Fase 5: Gravi alterazioni artritiche e obliterazione dello spazio articolare

 

TRATTAMENTO

I provvedimenti da adottare precocemente sono rappresentati innanzitutto da una limitazione dell’ attività sportiva. Nelle fasi più dolorose, oltre all’ impiego di farmaci antinfiammatori, può essere indicato un breve periodo di immobilizzazione in apparecchio gessato. Successivamente è consigliabile l’uso di un plantare con scarico selettivo in corrispondenza della testa del secondo metatarso.

 

Qualora i sintomi dovessero persistere nonostante il trattamento conservativo, vi è l' indicazione ad un trattamento chirurgico. Questo comunque può essere effettuato solo dopo che il metatarso abbia completato il suo sviluppo, cioè quando l’ossificazione delle cartilagine di accrescimento è terminata.

Qualche volta il semplice “debridement “ articolare cioè la rimozione dei tessuti necrotici o danneggiati e di eventuali dei “corpi mobili “ permette di ridurre la sintomatologia dolorosa, ma nella maggior parte dei casi sintomatici la testa metatarsale appare talmente alterata (stadio 3 – 4 – 5 secondo Smille) da richiedere un intervento più importante.

Sono state proposte varie opzioni chirurgiche ma non esiste consenso su quale procedura sia la più appropriata. Tutte, hanno come obiettivo la risoluzione del dolore e il ripristino funzione articolare. Tuttavia, la maggior parte degli studi hanno incluso un piccolo numero di pazienti e non sono stati stratificati per età o stadio della malattia, il che rende difficile trarre conclusioni circa la potenziale efficacia di queste procedure. D’altra parte, la relativa rarità di questa condizione patologica rende difficile eseguire analisi prospettiche. Stando comunque alla letteratura internazionale e in base alla nostra esperienza la soluzione più efficace sembra essere l’osteotomia a cuneo di sottrazione dorsale dell’ estremità distale del secondo metatarso indicata nelle soprattutto negli stadi 3 o 4 secondo la classificazione di Smillie.

Questa tecnica descritta per la prima volta da Gauthier e Elbaz prevede , dopo la rimozione dei corpi liberi e l’asportazione degli osteofiti marginali, un doppio “ taglio “ osseo all’estremità distale del metatarso in modo da creare un cuneo dorsale che comprende tutta la porzione degenerata della testa che viene asportata. Successivamente si ruota la porzione plantare non ancora degenerata della testa metatarsale in modo da ricreare una congruenza con la base della falange prossimale. Si stabilizza quindi l’osteotomia o con dei fili di sutura trans-ossei o con dei fili metallici (fili di K).

 

        

Successivamente si confeziona un apparecchio gessato per 3 settimane. In alternativa si può utilizzare una particolare scarpa, denominata scarpa di Barouk, che permette al paziente di appoggiare il piede senza caricare la regione avampodalica.

Il problema di questo intervento è che il metatarso subisce inevitabilmente un accorciamento che può causare una ricomparsa della metatarsalgia. In questi casi, se il trattamento con plantari non produce risultati, occorre procedere ad un secondo intervento indirizzato ad ottenere un riallineamento dei metatarsi vicini in modo da ripristinare la cosidetta “ formula metatarsale “. Ricordiamo che questa indica la lunghezza reciproca esistente tra le 5 ossa metatarsali che compongono l’avampiede. Più precisamente in condizioni normali questa prevede che il primo metatarso abbia una lunghezza simile o di poco superiore a quella del secondo metatarso, mentre dal secondo al quinto metatarso del piede occorre ci sia un’armonica riduzione delle lunghezze ossee.

 

 

Da un punto di vista chirurgico il riallineamento metatarsale può essere effettuato per via percutanea cioè utilizzando delle apposite frese inserite attraverso delle mini incisioni praticate sul dorso del piede. Attraverso queste incisioni le frese, sotto controllo ampliscopico, vengono affondate fino a raggiungere le ossa metatarsali subito prossimalmente alle loro teste. E’ possibile cosi osteotomizzare cioè “ tagliare “ le teste in modo da riposizionarle secondo la lunghezza voluta.

La stessa procedura può essere effettuata tramite incisioni piu grandi che consentono una diretta visualizzazione dei metatarsi (tecniche a " cielo aperto "). Dopo le osteotomie, la fissazione delle teste nelle posizioni volute per ristabilire la formula metatarsale, viene ottenuta con delle apposite viti in titanio. Alcuni Autori, comunque, non ritengono necessario questo passaggio lasciando libere le teste di trovarsi da sole la loro giusta posizione con il carico. Attenzione in questi casi la posizione del taglio osteotomico rispetto alla capsula articolare deve essere molto precisa e rigorosa.

Nello stadio 5, quando la cartilagine plantare della testa del quinto metatarso risulta anche essa degenerata e quindi non utilizzabile per ricostruire l’articolazione tramite un osteotomia dorsale, secondola nostra esperienza e stando alla letteratura internazionale, la soluzione migliore è rappresentata dalla Resezione- Artroplastica secondo DuVries (resezione parziale della testa metatarsale) . Questa prevede un osteotomia dorso plantare per rimuovere 2 - 3 mm di testa metatarsale. Le superfici tagliate vengono quindi smussate per ottenere una superficie curva in grado di garantire un miglior supporto articolare alla base della falange prossimale. L'aggiunta di un interposizione capsulare può migliorare i risultati a breve termine. Ovviamente anche in questo caso esiste il problema dell’ accorciamento del II° metatarso per cui, come per l’osteotomia dorsale, vale il discorso di un eventuale successivo o concomitante riallineamento metatarsale.

Per lo stadio 5 della malattia di Freiberg, in alternativa alla resezione - artroplastica, sono stati proposti interventi di protesizzazione totale o parziale, i quali benchè intuitivi nonché suggestivi sulla base delle esperienze compiute in altri distretti articolari (anca, ginocchio, spalla …) tuttavia fino ad oggi non hanno mostrato dei risultati tali da consigliarne l’impiego routinario. Infatti, i potenziali vantaggi rispetto alla Resezione- Artroplastica che comprendono il mantenimento della lunghezza, il migliore movimento articolare, e una migliore distribuzione del peso sono invalidati dalle numerose complicanze che includono l’ allentamento e la mobilizzazione dell'impianto,l’ erosione ossea,l’ infezione.

CONCLUSIONI

La malattia di Freiberg benchè rara è un ipotesi diagnostica da tenere presente sopratutto nelle metatarsalgie dei giovani. Una semplice radiografia con le adeguate proiezioni (anteroposteriore e obliqua) in genere consente diagnosi precoce la quale risulta fondamentale per la scelta del trattamento. Comunque, ci teniamo a precisare che i suggerimenti terapeutici elencati in questo articolo non possono essere interpretati come dei principi guida ma semplicemente come delle raccomandazioni derivanti dalla nostra esperienza. Infatti, è importante riconoscere che allo stato attuale, non c'è consenso su quale procedura funziona meglio per tutti i pazienti. In linea generale si può solo affermare che, se il trattamento conservativo fallisce, le procedure meno distruttive e invasive dovrebbero essere preferite per i pazienti con malattia in stadio precoce, mentre le procedure più invasive vanno riservate ai casi avanzati o per i pazienti nei quali altre forme di trattamento hanno fallito.

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Data pubblicazione: 07 ottobre 2018

Autore

formica.alessandro
Dr. Alessandro Formica Ortopedico

Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1988 presso Università .
Iscritto all'Ordine dei Medici di Roma tesserino n° 41668.

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